LE QUESTIONI APERTE IN MATERIA DI SICUREZZA
Se il bilancio 2013 ha registrato un calo complessivo di circa il 7% degli infortuni è soprattutto un effetto dovuto al minor lavoro (che incide sicuramente per due o tre punti annui), al maggior impiego delle macchine nelle lavorazioni più pericolose, al lavoro nero e alla tendenza, nei casi più lievi, a non presentare denuncia di infortunio per evitare all’azienda l’aumento del premio assicurativo sulla “spinta” del timore di perdere il posto.
Ma, a giudizio dell’ANMIL, poteva esserci un risultato migliore se fossero stati firmati i circa 20 decreti attuativi che dal 2008 ancora attendono di essere emanati (tra questi alcuni importanti come quelli sulla patente a punti in edilizia o sui lavori in quota o sui ponteggi) e che renderebbero pienamente efficace il Testo Unico sulla Sicurezza e se quei 5 milioni di investimenti a sostegno di iniziative di prevenzione previsti nello stesso decreto fossero stati utilizzati.
Tuttavia va riconosciuto che la nostra attuale normativa è tra le più complete e la sua piena applicazione dimostrerebbe che ogni infortunio è prevedibile ed evitabile, per questo non si deve parlare di fatalità o ineluttabilità. Dall’INAIL apprendiamo che, a seguito dei controlli, le imprese irregolari sono risultate 152.314, cioè il 64,8% del totale delle imprese ispezionate, a fronte di un valore del 63% rilevato nel 2012.
L’ANMIL sottolinea poi che da sempre mancano all’appello delle statistiche INAIL oltre 2 milioni di lavoratori assicurati in altro modo, che per questo non rientrano nelle statistiche elaborate e divulgate dall’Istituto: tra le tante categorie non censite ricordiamo coloro che operano nelle forze armate, nei vigili del fuoco, i giornalisti etc.
Finalmente, dopo quasi 2 anni dall’inizio della Legislatura, è stata nominata la Commissione parlamentare d’inchiesta sugli infortuni e le morti bianche al Senato, che ha il fondamentale compito di verificare lo stato della sicurezza sul lavoro e riferire alle Camere per valutare i dovuti provvedimenti.
In questo momento di crisi ci sono molte piccole aziende che sembrano operare sul modello di quelle cinesi, ma spesso fingiamo di non vederle, almeno fino a quando non succedono vere tragedie. Dimentichiamo così il grande valore e l’esperienza del made in Italy, che non possono essere barattati con il mancato riconoscimento dei diritti fondamentali dei lavoratori, mentre la concorrenza sleale dovrebbe essere combattuta da ognuno di noi, poiché in momenti di “emergenza occupazionale” non è con l’economia dello sfruttamento che si possono risollevare le sorti di un Paese come il nostro.
LE QUESTIONI APERTE IN MATERIA DI TUTELA DELLE VITTIME DEL LAVORO
Nell’attuale contesto economico e sociale, derivante da una crisi economica e politica che perdura ormai da alcuni anni, l’ANMIL si è trovata costretta, molto più che in passato, a dover assumere un ruolo di difesa nei confronti di un sistema di Welfare che sembra essere oggi sotto attacco, come fonte di una spesa pubblica non più sostenibile, di sprechi e di abusi. Attacco che, al momento, non ha ancora riguardato direttamente l’Assicurazione Infortuni, ma che l’ANMIL non può ignorare come segnale di un ripensamento generale delle politiche sociali, da monitorare con attenzione.
L’impegno dell’Associazione, quindi, è concentrato al massimo sulle contingenze del momento, per valutare gli effetti dei futuri provvedimenti sul sistema di tutela degli invalidi del lavoro e per individuare possibili spazi di intervento per tutelare le vittime del lavoro ANMIL.
Parallelamente, però, non si esclude di dover affrontare anche esigenze di conservazione degli attuali livelli di tutela, messi a rischio da una situazione economica quanto mai complessa. È per questo che si sta procedendo a piccoli passi, cogliendo ogni occasione per evidenziare, soprattutto, la rilevanza sociale delle rivendicazioni di ANMIL; perché se è vero che in questo momento i sacrifici sono richiesti a tutti, bisogna anche ammettere che per alcuni possono diventare ancor più penosi, dal momento che si sommano a situazioni di partenza già complesse, a difficoltà quotidiane per le persone con disabilità costose sia in termini economici che sociali.
LE RICHIESTE DELL’ANMIL DUNQUE SONO:
1. Per aiutare concretamente le vittime del lavoro è necessario che siano messi a disposizione gli avanzi di gestione dell’INAIL (circa 1,5 mld annui) in modo da poter rivedere i criteri di valutazione e gli importi dei risarcimenti assolutamente inadeguati.
2. Un controllo approfondito del Testo Unico sugli infortuni che regolamenta appunto i risarcimenti dell’INAIL ma che è datato al 1965 e, ad oggi, è stato oggetto di revisioni troppo parziali che hanno solo peggiorato la situazione. Per fare qualche esempio basti pensare che ci sono famiglie che non vengono riconosciute come superstiti delle vittime: si tratta di madri e padri che non ricevono alcun risarcimento dall’INAIL e anche le compagne di vita non vedono riconoscersi alcuna rendita se non coniugate, anche quando vi siano dei figli cui invece spetta un risarcimento solo fino ai 18 anni. In ogni caso parliamo di rendite che valgono il 50% della retribuzione del lavoratore per il coniuge e il 20% per i figli fino alla maggiore età o, al massimo, fino ai 26 anni se intraprendono un corso di laurea e l’inserimento nel Testo Unico Infortuni dell’assistenza psicologica per chi è vittima di un incidente sul lavoro come parte integrante del complesso delle prestazioni sanitarie garantite agli infortunati. In questa revisione generale del Testo Unico infortuni spicca la grande iniquità mascherata dallo snellimento del sistema assicurativo legata alla riforma del sistema di indennizzo del danno biologico, in primo luogo attraverso l’abbassamento del grado di menomazione indennizzabile in rendita, passando dall’attuale 16% all’11%, per garantire a soggetti con gradi di invalidità comunque significativi non solo un sostegno economico per tutta la vita anziché “una tantum”, ma soprattutto garantire il mantenimento della connessa presa in carico continuativa da parte dell’INAIL oggi non più prevista per coloro che rientrano in queste percentuali e quindi impossibilità anche a richiedere in futuro “aggravamenti”.
3. Dare attuazione all’articolo 10 della legge n. 38 del 2000 che ha previsto l’aggiornamento annuale della tabella delle malattie professionali ad opera di una commissione di esperti che, invece, da allora l’ha fatto una sola volta, nel 2008.
4. In materia di cura, riabilitazione e protesi, nonostante l’emanazione del nuovo Regolamento INAIL, c’è molta distanza tra le previsioni e l’applicazione. Inoltre problemi come il disagio psicologico e la fornitura di protesi adeguate alle esigenze degli invalidi sono ancora lontani dall’essere affrontati e risolti.
5. Chiede una ripresa delle tematiche legate all’amianto e il costante aggiornamento delle tabelle delle malattie professionali, in considerazione del fatto che ora spetta al lavoratore l’onere della prova del nesso di causalità esistente tra l’attività lavorativa e la malattia.
6. Rivedere la riforma dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) la quale stabilisce che anche i trattamenti assistenziali ed indennitari vanno sommati alla ricchezza della famiglia, mentre è assurdo considerare la disabilità e i sostegni economici che pertanto vengono riconosciuti, come una fonte di ricchezza per il nucleo familiare.
A tal proposito non deve trarre in inganno il fatto che, a parziale correzione dell’introduzione nell’ISEE delle prestazioni assistenziali e sanitarie, vengano stabilite delle franchigie, calcolate sulla base della condizione di disabilità.
Si tratta di una palese contraddizione che l’ANMIL denuncia in particolare per le vittime del lavoro in quanto la rendita INAIL ha natura “risarcitoria” garantita dal versamento di un premio assicurativo; non è salario differito e nemmeno un trattamento assistenziale. Pertanto, se per altre prestazioni ai disabili l’introduzione di franchigie che riconoscano la detraibilità del “costo della disabilità” dall’intera “ricchezza” rappresentata dal trattamento assistenziale può anche essere ritenuta giusta, persino dagli interessati, per le vittime del lavoro, ovvero tutti i titolari di rendita INAIL, questo non è accettabile.
Per gli assicurati contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali questo non è accettabile.
Se veramente si vuol riconoscere che la disabilità produce di per sé dei costi per il nucleo familiare, si sarebbe dovuto escludere dall’ISEE tutti i trattamenti spettanti ai disabili, senza alcuna franchigia.
L’impressione è che si sia regrediti: se nella nozione di reddito così considerata è finita anche la rendita INAIL, arriviamo a trovarci davanti al paradosso per cui un lavoratore infortunato viene considerato ricco, ad esempio, per il fatto di aver perso un braccio sul lavoro e di ricevere pertanto un risarcimento da un ente pubblico, risarcimento che, invece, è frutto del pagamento di un apposito premio assicurativo da parte del datore di lavoro, che ha il preciso scopo di tutelare il datore di lavoro stesso rispetto alla propria responsabilità civile verso il lavoratore in caso di danno causatogli dal lavoro svolto.
7. Resta a livelli drammatici il problema del reinserimento lavorativo delle persone infortunate sul lavoro che spesso vengono licenziate proprio a causa della ridotta capacità lavorativa. Per queste persone rientrare nel mondo del lavoro significa solo appellarsi alla pietà sociale rappresenta un aggravio imposto alle aziende. Servono un cambiamento culturale e nuovi investimenti sulla formazione e sulla riqualificazione professionale, in modo da trasformare coloro che ora vengono visti come un peso per la società, in una vera e propria risorsa.
È necessario lo sblocco dei Fondi previsti dalla legge 68/99, finalizzati alla riqualificazione professionale degli invalidi del lavoro attualmente giacenti presso il Ministero dell’Economia che non ha mai provveduto alla suddivisione sulle Regioni.
L’ANMIL continuerà a dare la propria disponibilità certa di poter essere un prezioso supporto in termini di divulgazione della cultura della prevenzione. Vuole diventare un partner operativo, contando sulla condivisione dei suoi associati, che rappresentano la metà di una categoria composta da circa 800mila persone, nonché sul supporto operoso e quotidiano di migliaia di volontari presenti in tutta Italia.
L’ANMIL, fondata più di 70 anni fa, conta infatti oltre 30.000 volontari attivi ogni giorno su tutto il territorio, anche se di essi si parla raramente. Che il mondo dell’associazionismo rappresenti una forza determinante nell’economia sociale del Paese fa parte di quelle buone notizie di cui si parla ancora meno, ma sulle quali si reggono famiglie che combattono quotidianamente per risolvere problemi di ogni genere e che, avendo vissuto sulla propria pelle le drammatiche conseguenze della mancanza di sicurezza sul lavoro, sono le prime a volere che questi incidenti, sempre evitabili, non accadano più.