Parla Massimiliano Tomasella, ideatore del progetto che porta ragazzi con disabilità motoria tra i luoghi più inaccessibili del mondo. Dal deserto africano ai percorsi sterrati delle Corsica, perché “le difficoltà più frequenti sono rappresentate dai limiti mentali che loro stessi si danno”
ROMA – Tornare da “Viaggiatore Avventuroso”. Questo l’obiettivo della divisione disabili di “Dimensione Avventura”, l’attività nata nel 2013 su iniziativa di Massimiliano Tomasella per permettere a persone con disabilità motorie di viaggiare e raggiungere anche le mete meno accessibili. Tra le tappe in calendario le zone desertiche della Tunisia e del Marocco, le regioni europee di Islanda, Corsica e Albania, fino agli antichi sentieri che collegano Roma a Pescara in tre giornate di rally.
Cosa si intende con Viaggio avventuroso?
Si intende un viaggio in territori difficili da raggiungere, o remoti nel mondo, utilizzando soltanto mezzi terrestri e in completa navigazione Gps fuoristrada. Ogni giorno si parte dopo l’alba e ci si accampa prima del tramonto, facendo un percorso dal punto A al punto B senza tappe fisse. Viaggiamo in fuoristrada 4×4 per visitare posti in Italia e nel mondo esattamente come farebbe un “Normodotato”, sempre nel rispetto dei limiti di ciascun viaggiatore. Non andiamo in giro a fare i temerari, sappiamo benissimo come muoverci. Cerchiamo di mettere a disposizione il nostro aiuto per superare con ciascuno di loro le piccole problematiche personali, convinti che chiunque voglia munirsi del minimo senso di adattamento, il viaggio come un’occasione per scoprire le proprie potenzialità”.
Quale è stata la spinta a intraprendere un progetto tanto complesso?
Una spinta forte è stata rappresentata da mio figlio Noa: la sua invalidità motoria non è mai stata percepita come un ostacolo a viaggiare o a fare attività di altro tipo. Insieme abbiamo raggiunto anche il Grand Canyon. Dunque possiamo dire che Noa sia stato il primo partecipante di “Dimensione avventura”, prima ancora che il progetto nascesse. Altra spinta importante è stata la vicinanza con i ragazzi della squadra di basket in carrozzina “Don Orione”. L’incontro con le rispettive vicende personali e alla luce delle esperienze che avevo maturato fino a quel momento anche come stuntman acrobatico, atleta professionista, soccorritore e scalatore, mi hanno portato a credere che questo progetto si potesse realizzare. E infatti i risultati raggiunti finora hanno superato ogni nostra aspettativa.
Quali condizioni devono sussistere perché un luogo sia accessibile anche ad un disabile?
Lo scopo di dimensione avventura è proprio quello di cancellare la distinzione tra accessibile e inaccessibile, per sostituirla con un “vediamo cosa riusciamo a fare”: insegnare tecniche che permettono di capire come si possono superare scalini, rocce, sterrati, sempre nel rispetto del limite personale, fa parte di questo percorso, che in tal senso vuole essere anche formativo.
Quanti i partecipanti ad ogni viaggio?
Il numero si aggira intorno alle otto-dieci persone. Insieme a Maurizio e Giuseppe accompagniamotra i tre e i cinque disabili carrozzati per viaggio: paraolimpici, sportivi, professionisti e persone con disabilità di vario genere. Ma come vogliamo annullare la distinzione tra accessibile e non, vogliamo superare anche quella tra disabili e accompagnatori. Li stimoliamo a muoversi in autonomia e a chiedere il nostro aiuto solo dopo aver tentato da soli.
Quali le difficoltà che riscontrate con maggio frequenza tra ragazzi che partecipano al viaggio?
Spesso le difficoltà sono rappresentate dai limiti mentali che loro stessi si danno. Faticano ad adattarsi a quel cambiamento continuo che il viaggio impone e che normalmente il disabile tende ad evitare, per cercare invece sicurezza. Ma già dopo i primi tre giorni avviene un passaggio importante che si intercetta perfino nell’espressività del viso. Iniziano a capire che il loro limite sono loro stessi, in un modo di pensare e vivere dettato da vincoli che si sono imposti per prudenza. Vedere la faccia di un carrozzato in cima ad una duna del deserto è stata una conferma importante del lavoro che facciamo. Dopo aver superato la barriera della propria disabilità mettendosi alla prova, lo sforzo viene sempre ripagato.
Cosa hanno raccontato i partecipanti una volta tornati dal viaggio?
Ha lasciato tracce profonde, perché tutti trovano una marcia in più, acquistano maggiore sicurezza nelle proprie possibilità. Ciascuna di queste esperienze traspare dalle persone quando raccontano cosa hanno visto e vissuto. Persone che magari fino a poco prima non uscivano di casa. Al ritorno molti di loro mi hanno raccontato di come sono diventati più autonomi: di come oggi da soli vanno al centro commerciale, prendono un bus, un aereo, fanno sport, si comprano un auto. Tutte cose che prima non avrebbero mai fatto senza la sicurezza assoluta di un accompagnatore.
(23 giugno 2015)
Fonte Link: http://superabile.it/web/it/CANALI_TEMATICI/Viaggi_e_Tempo_libero/News/info-1103615670.html