Infermiera “inabile perché invalida”: vince il concorso, ma l’ospedale non la assume

Miriam lavora dal 2008 in una struttura pubblica: ha invalidità al 75% e una limitazione nello spostamento dei pesi. “Ma la mia malattia non ha mai creato problemi nel lavoro”: A un passo dall’assunzione, il medico competente nega l’idoneità. E ora lei chiede giustizia. “Farà ricorso, mi sento vittima di discriminazione”

ROMA – “Inabile perché invalida”: è stata liquidata così M., dopo aver lavorato per tanti anni come infermiera in varie strutture private e dopo aver finalmente conquistato, dopo un regolare concorso, un posto in una struttura pubblica. Così, a un passo dalla realizzazione di quel sogno che è il contratto a tempo indeterminato, la sua invalidità è parsa, a chi le stava davanti, un ostacolo insormontabile. Così oggi M., 30 anni, mamma di un bimbo di 21 mesi, è pronta a combattere perché quel sogno le sia restituito. “Sento di aver subito una discriminazione – racconta a SuperAbile – Ho cercato di capire se così volesse la legge, se dovessi quindi rassegnarmi a quest’amara realtà. Ma dopo la risposta degli esperti del contact center SuperAbile, ho capito che la legge è dalla mia parte e che posso fare ricorso per far valere i miei diritti”.

 

Tutto inizia nel 2006, quando a M. viene certificata un’invalidità del 75% a causa della patologia congenita da cui è colpita, la spina bifida. La malattia, però, non impedisce a M di coltivare la sua vocazione professionale: nel 2007 si laurea in scienze infermieristiche presso l’Università di Catanzaro, con votazione 110/110. L’anno successivo, prende servizio come infermiera presso una struttura privata, dove tuttora lavora. “La mia malattia – ci spiega – non mi ostacola nel lavoro che svolgo, anche se devo avere delle precauzioni. Ho un’incontinenza urinaria e quindi devo praticare cateterismo 5-6 volte al giorno e ho delle limitazioni nello spostamento dei pesi: la mia vita lavorativa, però, non ne ha mai risentito, tanto che da 8 anni lavoro senza alcun problema in una struttura privata. Non mi sottraggo neanche ai turni notturni e sono perfettamente autonoma nella gestione delle mie necessità. Così, nel 2008 ho partecipato ad un concorso per 30 posti, bandito da un ospedale pubblico della mia città. Arrivo 114esima in graduatoria“.

 

Grande è stata la gioia di Miriam quando, alcune settimane fa, ha ricevuto un telegramma con la notizia che aspettava da tanti anni: una struttura pucclica di Catanzaro la convocava per la stipula di un contratto a tempo indeterminato. “Mi sottopongo agli accertamenti da loro richiesti tra cui rx torace colonna collo, test di mantoux, e visita cardiologica. E risulto idonea”. Pochi giorni dopo, quindi, M. si presenta al colloquio con il medico competente dell’ospedale: “Esibisco il certificato di invalidità, chiedendo la limitazione della movimentazione dei carichi manuali pesanti, che già mi era stata concessa dal medico competente della struttura in cui lavoro da 8 anni. In un primo momento – riferisce M. – il medico sottoscrive la mia idoneità con le limitazioni da me richieste,  invitandomi a presentare le dimissioni e passare l’indomani a ritirare l’idoneità”. Il giorno successivo, però, l’amara sorpresa: “Quando arrivo nell’ufficio del medico, l’infermiera mi comunica che la mia idoneità deve essere discussa. Solo una settimana dopo, il medico mi informa, verbalmente, che non sono idonea, perché invalida“.

A M., però, non sta affatto bene: perché mai la sua invalidità dovrebbe compromettere l’idoneità a un lavoro che, peraltro, svolge da anni? “Qualcosa non mi torna: ho partecipato ad un regolare concorso dove non era esclusa la partecipazione degli ‘invalidi’,  specificando tra l’altro la mia invalidità della domanda di partecipazione”. Chiede spiegazioni al medico competente e questi “si giustifica dicendomi che non sono idonea perché non posso spingere letti e sollevare i pazienti.  Faccio cosi notare che il profilo professionale dell’infermiere non prevede queste mansioni. Nulla di fatto, il medico non si smuove: per lui sono invalida e non posso fare l’infermiera”. Miriam esce dall’ufficio ferita, perché “la mia dignità di donna e professionista è stata calpestata“.

 

Ma non si dà per vinta: pochi giorni fa ha scritto alla presidentessa del Collegio Ipasvi di Catanzaro, Concetta Genovese, esponendole il suo caso e chiedendole “un incontro urgente, chiarificatore, alla presenza dell’avvocato del collegio. Voglio capire – spiega M. – se sono dentro un’amara realtà lavorativa piena ancora di pregiudizi, che per via della mia invalidità mi impedisce di esercitare una professione che amo con tutta me stessa ed esercito da ben 8 anni con passione e dedizione; oppure, se si tratta di una discriminazione che non può e non deve passare sotto silenzio”.

 

Ha scritto anche agli esperti del Contac Center di SuperAbile, il portale dell’Inail sulla disabilità, per avere un parere nel merito: “Mi hanno fatto capire che la legge è dalla mia parte e mi hanno suggerito di presentare ricorso all’organo di vigilanza territorialmente competente entro trenta giorni dalla comunicazione della copia del giudizio del medico. E mi hanno riportato una sentenza del Tribunale del lavoro di Bologna, che nel 2013 ha accolto il ricorso di un altro infermiere professionista per un caso molto simile al mio: il giudice, allora, accolse il ricorso dell’infermiere, ritenendo che la mancata assunzione in ragione della sua patologia rappresentasse un comportamento discriminatorio fondato sulla ‘disabilità’. Spero con tutto il cuore che anche la mia storia abbia lo stesso epilogo e che i miei diritti siamo riconosciuti, in nome dell’inclusione sociale e lavorativa che a tutti dovrebbe essere garantita”. (cl)

(13 giugno 2015)

Fonte link: http://superabile.it/web/it/REGIONI/Calabria/News/info-1103640590.html

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